venerdì 8 aprile 2011

Titiro e Melibeo

MELIBEO: Titiro, disteso all'ombra di un ampio faggio, vai componendo su un flauto sottile una canzone pastorale; noi lasciamo le terre della patria e i dolci campi, noi fuggiamo la patria: tu, o Titiro; rilassato nell'ombra, fai risuonare i boschi(del nome) della bella Amarilli.
TITIRO: O Melibeo, un Dio creò per me questa tranquillità: infatti egli sarà sempre per me un dio; spesso un tenero agnello(preso) dai nostri ovili tingerà il suo altare(di sangue). Egli come vedi, ha permesso alle mie giovenche di errare e a me di suonare sul flauto campestre ciò che volevo.(=le predilette canzoni).
MELIBEO: Non ti invideo certo, ma piuttosto mi stupisco: a tal punto c'è scompiglio dovunque, in tutti i campi. Ecco, io stesso affranto spingo innanzi le caprette; trascino a stento, Titiro, anche questa: qui tra i folti noccioli poco fa, sgravata di due gemelli, speranza del gregge, ahimè li ha lasciati sulla nuda pietra. Spesso questa sventura, se la mente non fosse stata cieca, ricordo ce la predissero le quercie colpite dal fulmine. Ma tuttavia dimmi, o Titiro, questo dio qual'è?
TITIRO: La citta che chiamano Roma, io da sciocco la credetti simile alla nostra, dove spesso noi pastori siamo soliti avviare la tenera prole delle pecore. Così sapevo i cuccioli simili ai cani, i capretti alle madri; così ero solito paragonare le cose grandi alle piccole. Ma questa sollevò tanto il capo tra le altre città, quanto sogliono i cipressi tra i molli viburni.
MELIBEO: E quale motivo così importante ti spinse a vedere Roma?( lett. Quale motivo tanto importante avesti di vedere Roma?).
TITIRO: La libertà che, benchè tardi, tuttavia volse il suo sguardo su di me che oziavo, dopo che più bianca cadeva la barba quando la tagliavo; mi guardò tuttavia e venne dopo lungo tempo, da quando mi tiene Amarilli e mi lasciò Galatea. Infatti lo ammetterò, finchè mi teneva Galatea non avevo nè speranza di libertà nè cura del guadagno. Sebbene dai miei recinti uscissero molte vittime e fosse premuto grasso formaggio per l'ingrata città, la destra non mi tornava mai a casa pesante di denaro.
MELIBEO: Mi chiedevo meravigliato perchè invocassi mesta gli dei, o Amarilli, per chi lasciassi pendere i frutti dal proprio albero: Titiro era lontano da qui. Gli stessi pini, o Titiro, le stesse fonti, gli stessi arbusti invocano te.
TITIRO: Che avrei dovuto fare? Non mi era possibile(in altro modo) uscire dalla schiavitù nè conoscere altrove divinità così propizie. Qui, Melibeo, vidi quel giovane in onore del quale i miei altari fumano dodici volte l'anno. Qui egli prontamente diede il responso a me che lo chiedevo: "Pascolate come prima le vacche, o schiavi; allevate i tori".
MELIBEO: Fortunato vecchio, dunque i campi rimarranno tuoi e (saranno) per te abbastanza grandi , benchè nuda pietra e palude ricoprano tutti i pascoli di giunchi fangosi. Pasture inconsuete non insidieranno le pecore affaticate dalla maternità, nè i maligni contagi di un gregge vicino nuoceranno loro(nè le contageranno le malattie di un gregge vicino). Fortunato vecchio, qui tra noti fiumi e sacre fonti godrai una frescura ombrosa; di qui(da questa parte), dal vicino confine, la siepe di sempre(come sempre ha fatto finora), succhiata nel suo fiore di salice dalle api iblee, spesso ti inviterà con il suo lieve mormorio ad addormentarti; di qui (dall'altra parte) sotto un'alta rupe il potatore canterà all'aria e tuttavia, nel frattempo, le roche colombe, oggetto delle tue cure, e la tortora non cesseranno di gemere dall'olmo , alto nel cielo.
TITIRO: Dunque i cervi pascoleranno leggeri nell'aria e il mare(freta=bassofondo) abbandonerà sulla spiaggia i pesci nudi ( senza più ricoprirli), i Parti berranno, esuli, le acque dell'Arari o i Germani quelle del Tigri, dopo aver percorso i territori di entrambi ( cioè il proprio e quello altrui) prima che si cancelli dal nostro cuore l'immagine di lui.
MELIBEO: Invece noi andremo di qui alcuni fra gli assetati Africani, parte nella Scizia e giungeremo fino all'Oasse che trascina con sé fango e fino ai Britanni , completamente separati da tutto il resto del mondo. Oh quando mai dopo lungo tempo, rivedendo i confini della patria e il tetto della mia povera capanna fatto di zolle( che fu un tempo) il mio regno , ammirerò infine qualche spiga? Un empio soldato avrà questi campi così coltivati, un barbaro queste messi: Ecco dove la discordia ha condotto i miseri cittadini; per costoro noi abbiamo seminato i campi! Innesta ora, o Melibeo, i peri, disponi in ordine le viti! Andate, o mie caprette, andate gregge un tempo felici. Non io d'ora in poi, sdraiato in un verde antro, vi vedrò pendere di lontano da una rupe piena di rovi; nessun carme canterò(più); sotto la mia guida ,.caprette, non brucherete(più) il fiorente citiso e i salici amari.
TITIRO: Qui tuttavia potevi riposare questa notte con me sul verde fogliame: abbiamo( lett. C'è a noi) frutta matura, tenere castagne e abbondanza di formaggio, e già da lontano fumano i comignoli delle case campestri e più grandi scendono dagli alti monti le ombre.

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